venerdì 17 ottobre 2014

Swans
(Ljubljana, 16 ottobre 2014 Kino Šiška)

 
Immaginate di trovarvi nel bel mezzo di un mantra urbano, una cerimonia per pochi eletti che sta durando da più di due ore, e di guardarvi attorno per controllare se qualcuno è già impazzito, cosa che potrebbe succedere anche a voi, da un momento all'altro..



Sull' autostrada verso Lubiana, né io né i tre con cui mi sono avventurato avevamo la minima idea di ciò in cui ci saremmo imbattuti, se non per qualche brevissima nota biografica o qualche spezzone su youtube (che per inciso non danno un'idea nemmeno sommaria di quello che realmente andavamo a vedere). Formatisi negli anni '80, gli Swans cominciarono la carriera sulla scia di un certo hardcore-punk sfornando dischi seminali. Si sciolsero a un certo punto degli anni '90 per poi riunirsi nel 2010. Da quel momento hanno pubblicato una manciata di album, l'ultimo dei quali “To Be Kind” è acclamato come uno dei dischi dell'anno da testate come Pitchfork e affini. Full stop. Nulla sapevamo più..



Avvolti da un'oscurità totale, dalle dieci meno dieci il tempo si dilata, assume una dimensione irreale. Incalcolabile l'introduzione di gong, l'arrivo della batteria, i rumori della slide-guitar, la pulsazione costante del basso e le distorsioni delle due chitarre. E siamo solo all'inizio. Quello che è certo è il modo in cui, dopo una dinamica tanto lenta quanto inesorabile, un FORTISSIMO e infinito accordo di Do ci colpisce senza preavviso come un pugno in pieno volto, risucchiando gli ascoltatori inerti in un profondo tunnel, a faccia a faccia con le proprie ossessioni, in una spirale a caduta libera senza fine. Tre le possibilità; scappare, affrontare l'abisso e uscirne purificati, o farsi sormontare e restarne schiacciati. Una cerimonia di tre ore, per pochi eletti, con un finale catartico che non fa prigionieri.



I sei Swans poi, sembrano usciti da un fumetto, il frontman Micheal Gira, cinquant'anni, trascina la scena con un'irruenza implacabile. Il chitarrista Norman Westberg, alto e asciutto, capelli bianchi radi e lunga barba spara vagonate di rumore come se il feedback uscisse direttamente dal suo corpo sputando scariche elettriche. Non è da meno Christoph Hahn, baffi alla texana, camicia rossa, stivali e brillantina, e una steel-guitar che non avrei mai pensato riuscisse a produrre simili suoni. La sezione ritmica costituita dal percussionista Thor Harris, il batterista Phil Puleo e il bassista Christopher Pravdica fanno tremare il pavimento.





Uno scambio costante di energia, un mantra urbano, come detto all'inizio, da cui solo dopo esserne usciti vincitori si può capire il profondo impatto sulla propria pelle. Come ho detto a Michael Gira a fine concerto “Dopo aver vissuto tutto questo, non sarò più lo stesso..”. 

 

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